La Federazione delle Chiese Pentecostali rappresenta una parte del mondo pentecostale in Italia e costituisce una rete di chiese locali e associazioni di chiese, ponendosi come un’associazione di terzo livello i cui membri hanno configurazione giuridica propria e diversificata. Storicamente e teologicamente queste chiese si riconoscono nell’eredità della Riforma del XVI secolo e segnatamente nella tradizione del Risveglio che ha caratterizzato gran parte del mondo evangelico moderno e contemporaneo, anche se la loro spiritualità affonda le radici nella più antica tradizione delle origini cristiane. Principi fondamentali del loro credo sono la conversione individuale al Vangelo di Gesù Cristo, la rigenerazione interiore ad opera dello Spirito santo (nuova nascita) e un cammino esistenziale improntato al principio di responsabilità. In Italia le chiese pentecostali sono presenti da oltre un secolo e hanno conosciuto momenti di accanita compressione della loro libertà sfociata nella persecuzione fascista e nell’emarginazione socio-giuridica dell’immediato dopoguerra. Le chiese pentecostali e carismatiche attualmente rappresentano un terzo di tutti i cristiani nel mondo.
La particolarità della loro storia e dei loro convincimenti rende le chiese pentecostali molto attente alle ragioni dei diritti umani e delle libertà individuali e per questa ragione giudicano con favore ogni iniziativa anche di tipo legislativo volta a garantire tali diritti e tali libertà con severe pene laddove esse fossero messe a rischio da comportamenti discriminatori, violenti e aggressivi anche attraverso ingiurie e denigrazioni. Nessuno per nessuna ragione può subire minacce, violenze di alcun genere o discriminazioni per ragioni legate al proprio orientamento sessuale; e se per ottenere questo risultato si dovesse anche ricorrere ad un inasprimento delle pene specificamente dedicato a questo tipo di reato, ben venga anche questo. Tutte le forme di discriminazione costituiscono una violazione della dignità umana che esige sempre di essere rispettata nelle parole, nelle azioni e nelle leggi; così anche ogni tipo di atteggiamento pregiudizievole, minaccioso e aggressivo va contrastato senza mezzi termini.
Tuttavia, proprio sul delicato aspetto delle sanzioni e del loro ambito applicativo sorgono dubbi e perplessità in relazione a due ordini di questioni. Il primo è legato al concetto di ‘discriminazione’ così come configurato in modo molto generico nella seconda parte dell’articolo 4 del disegno di legge Zan; ciò preoccupa per ragioni ecclesiali e pastorali e da adito al sospetto che in modo surrettizio si voglia introdurre una sorta di reato di opinione anziché di discriminazione; cosa che sarebbe particolarmente ostativa alla libera espressione delle convinzioni religiose in materia di orientamento sessuale e identità di genere. Il secondo è legato a quella che l’articolo 7 del medesimo ddl configura come una vera e propria formula pedagogica di Stato imponendo nelle scuole l’educazione alle posizioni della teoria gender senza che vi sia alcun coinvolgimento dei genitori (quando si tratti di minori) e alcuno spazio per una presenza pluralista di tipo informativo ed educativo nella scuola in riferimento ai modelli famigliari. C’è il serio timore che la cornice politico-culturale ed educativa che il disegno di legge costruisce per sostenere l’azione di contrasto alla discriminazione e all’istigazione alla violenza si trasformi nella concreta possibilità che gli aspetti meramente culturali vengano sottratti alla normale dialettica basata sulla libertà di opinione e inseriti in un quadro di educazione obbligatoria capace di intaccare diverse libertà costituzionalmente garantite.
Si tratta di dispositivi che se non meglio esplicitati rischiano di dar vita ad un’infinità di contenziosi giudiziari nei quali la discrezione del giudice è troppo ampia per norme che prevedono sanzioni afferenti il diritto penale. Questa Federazione si augura che tali preoccupazioni possano trovare adeguato ascolto e gradita accoglienza.
Il Presidente
Carmine Napolitano